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L’oinochoe di Pitino di San Severino al Metropolitan Museum

18 Set

Il 22 settembre, nella prestigiosa sede del Metropolitan Museum di New York , avrà inizio la mostra archeologica “From Assyria to Iberia. Crossing country at the dawn of classical age” (Dall’Assiria all’Iberia. Attraversando i continenti agli albori dell’età classica) ed uno dei pezzi più preziosi del Museo Archeologico Nazionale delle Marche sarà grande ospite di questo evento.

uovo di struzzo partSi tratta di una straordinaria oinochoe (brocca usata per versare il vino) con corpo costituito da un uovo di struzzo finemente lavorato. Questo oggetto risale ad un periodo compreso tra la fine del VII e l’inizio del VI secolo a.C. e quindi durante il periodo che nell’arte antica viene definito orientalizzante. Non a caso sulla superficie dell’uovo sono incise scene con animali esotici inframmezzate da palmette intrecciate ad archetti e fiori di loto alla base, tipici di questo periodo e retaggio del mondo orientale. Alla sommità abbiamo la bocca trilobata in forma di busto e testa femminile con le mani che stringono le trecce. Rende suggestivo questo viso il fatto che in uno dei due occhi rimanga ancora la doratura. La bocca e l’ansa in avorio infatti, come comprendiamo ancora da alcune parti, erano almeno in parte dorati. Questo ed altri oggetti emersi dalle tombe di Pitino di San Severino testimoniano quale grado di opulenza avessero raggiunto le alte fasce della civiltà picena. Forse questo oggetto venne fabbricato in Etruria tenendo conto dei modelli orientali ed in questo caso fenicio-ciprioti. L’oinochoe si inserisce nel contesto della mostra come esempio del rapporto commerciale e culturale tra il Medio Oriente e il resto del Mediterraneo. La rete di scambi infatti era vastissima e spaziava dagli imperi Assiro ed Egiziano fino alla penisola Iberica.

Uovo di struzzo

Quello che molti non sanno è come e con quali modalità e metodologie oggetti inestimabili e delicatissimi come questo possano percorrere oggi migliaia di chilometri attraversando oceani e valicando montagne in tutta sicurezza. Le cautele che vengono prese sono ovviamente molteplici. Per quanto riguarda l’uovo di Pitino di San Severino, dopo la richiesta del Metropolitan Museum ed i lasciapassare di Soprintendenza e Ministero, la settimana scorsa è stato adagiato in un nido di gomma piuma e chiuso dentro la duplice protezione di due cassette di sicurezza imbottite. A bordo di un camion senza segni di riconoscimento, per sventare ovviamente tentativi di furto, ha lasciato la sua sede anconetana alla volta dello speciale caveau dell’aeroporto di Fiumicino dove vengono stipate per operazioni di questo tipo, in attesa di essere inviate nei più disparati luoghi del pianeta. Il viaggio fino a New York è stato seguito interamente dal restauratore specializzato del museo archeologico, dott. Fabio Milazzo, insieme ad una equipe di speciali addetti ai trasporti. Pezzi come questo ovviamente devono essere assicurati e per essere assicurati devono subire una valutazione in termini economici, pur non esistendo parametri per valutare quelli che vengono considerati da tutti cimeli inestimabili.

L’oinochoe di Pitino tornerà ad Ancona a gennaio del 2015 e nel frattempo potrà essere mostrato in una sede di risonanza mondiale, motivo d’orgoglio per il Museo Archeologico Nazionale delle Marche, in quanto testimone di quel fervente periodo di scambi che intrecciò le diverse culture del Mediterraneo a partire da VIII e VII secolo a.C. con l’oriente.

Matias Graziola, Università degli Studi di Urbino

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Con i ghiri alla Notte dei Musei

27 Mag

4 ore di apertura straordinaria, un oggetto unico nelle Marche, oltre 800 visitatori.

Questa è stata in breve la Notte dei Musei 2014 del nostro Museo, evento organizzato dal Servizio Educativo e reso possibile grazie alla disponibilità di tutto il personale. Lo scorso sabato 17 maggio, dalle 20 a mezzanotte, un vero e proprio fiume di visitatori ha invaso Palazzo Ferretti per vedere da vicino il glirarium, un vaso in terracotta destinato all’allevamento dei ghiri a scopo mangereccio, rinvenuto nel 1963 nell’area dell’antica città romana di Helvia Ricina (situata al centro dell’odierna Villa Potenza).

Come funzionava il glirarium? I ghiri venivano rinchiusi in questo tipo di vaso, un orcio con un coperchio caratterizzato da una serie di fori per l’aerazione praticati a crudo e da alcune costolature a spirale sporgenti sull’interno delle pareti per consentire loro il movimento. All’interno del glirarium, i ghiri erano tenuti ad ingrassare e, forse, a riprodursi. Questa pratica è molto nota da autori romani come Varrone e Plinio, che ci testimoniano come questi animaletti erano ritenuti una leccornia ed un prodotto di lusso.

Il glirarium

Il protagonista della Notte dei Musei: il glirarium

Il glirarium è stato il protagonista assoluto della serata ma non il solo. Il personale del museo ha infatti organizzato quattro visite guidate all’intera collezione, intervallate da due alla storia e agli affreschi di Palazzo Ferretti tenute da Francesca Farina.

Con la galleria delle foto più significative della serata, vi diamo appuntamento al prossimo evento!

Francesco Ripanti, SISBA

Approfondendo i quiz del lunedì

2 Apr

In questo post i nostri stagisti approfondiscono i soggetti dei quiz che abbiamo proposto nei mesi di febbraio e marzo sulla pagina Facebook del museo.

Quiz del 24 febbraio – Anfiteatro di Suasa

L’anfiteatro di Suasa è un grande monumento riscoperto con gli ultimi scavi del 1977-78 ed è l’anfiteatro più grande delle Marche per:
1) l’ellisse della cavea con asse maggiore di circa 98 metri e quello minore di circa 77 metri;
2) la capienza dell’impianto era di circa 8000 posti, a cui contribuiva anche il poco spessore del muro perimetrale, anch’esso usato come posto a sedere;
3) la grandezza del podio (circa 58 metri l’asse maggiore, 38 metri l’asse minore, alto 1.8 metri). Alla sua conservazione nel corso dei secoli ha contribuito il suo materiale di costruzione: i blocchetti di pietra bianca e rosata utilizzati anche per costruire le mura del Castello di Arcevia.

anfiteatro suasa

Quiz del 3 marzo – Vasi a fiasco

Nel neolitico i vasi a fiasco fanno parte degli utensili da cucina, svolgendo un ruolo fondamentale per la conservazione dei liquidi; questo è deducibile, dalla stretta imboccatura del vaso, che rende scomodo l’inserimento di cibi solidi. Le caratteristiche principali di questo vaso, realizzato in ceramica, sono le anse a listello, ovvero degli anelli grazie ai quali il vaso poteva essere appeso al soffitto. Il vaso a fiasco che vedete in figura proviene da Ripabianca di Monterado.

vasi a fiasco

Quiz del 10 marzo – Pianello di Genga

Questa urna cineraria dell’età del bronzo fa parte di un complesso di 750 urne, ritrovate tutte nella stessa area, Pianello di Genga. Questa necropoli, databile al periodo protovillanoviano, era organizzata in cinque gruppi di tombe; se si osservasse dall’alto l’intero sito, si noterebbe che queste tombe hanno una forma pressoché circolare. Le urne, all’interno delle tombe erano disposte partendo dal centro, dove erano situate quelle più antiche, e mano a mano che si procede verso l’esterno le urne risultano più recenti. Insieme sono stati ritrovati anche alcuni oggetti che appartenevano alla quotidianità del defunto. È possibile che questa necropoli sia stata situata nei pressi di un villaggio.

pianello di genga

Quiz del 17 marzo – Pintadera

Le pintadere sono piccoli timbri, normalmente fatti di terracotta, caratteristici del periodo neolitico. Quella che vedete nella foto proviene dal sito neolitico di Coppetella di Jesi. Il termine “pintaderas” viene coniato durante la conquista spagnola del Messico, e anche oggi è possibile trovare qualche riferimento tra le popolazioni che attualmente vivono ancora allo stadio primitivo in Sudamerica. Non è del tutto certo ma le ipotesi del loro utilizzo le ritraggono come stampi per tatuaggi corporei provvisori, per decorare i tessuti, oppure per imprimere marchi di riconoscimento sul pane o su altri alimenti. Solitamente le pintadere erano dotate di una sorta di appendice prensile e di una superficie in cui è riportato in rilievo il motivo decorativo.

pintadera

Quiz del 24 marzo – Idoletti Fittili

Questa statuette in terracotta, di circa 5 cm di altezza sono definite idoletti e schematizzano la figura femminile nuda secondo l’arte del primo periodo neolitico (5500 – 5000 a.C.). Sono realizzate a tutto tondo ma la rappresentazione del corpo è limitata al tronco e l’unico dettaglio anatomico è costituito dai seni. Sono state ritrovate nell’insediamento di Ripabianca di Monterado (AN). Simboleggiano sia l’idea della fecondità femminile, sia quella della fertilità dei campi e, in un contesto domestico, dovevano assicurare protezione alla casa neolitica.

idoletti di ripabianca

Quiz del 31 marzo – Ceramica micenea del Montagnolo di Ancona

Questo frammento di vaso miceneo, databile tra il 1300 e  il 1190 a.C.,  è stato ritrovato nella zona del Montagnolo di Ancona. Siamo in grado di determinare che è un vaso di origine micenea per le decorazioni a spirale bruno-rossastre. Probabilmente questo vaso, così lontano dal suo luogo d’origine, è arrivato fino ad Ancona attraverso una delle tante rotte commerciali che i Micenei intrattenevano nel Mediterraneo. Questo frammento di Ancona è molto importante per le Marche perchè è molto raro trovare frammenti micenei nella nostra regione; in tutto ne sono stati trovati solamente sei.
Al Montagnolo è stato identificato uno dei nuclei originari della città di Ancona; sono state ritrovate tracce di intonaco che testimoniano la presenza di un abitato dell’ età del Bronzo a cui è datato ovviamente anche il frammento.

Valerio Amori, Alessio Ceccacci, Eleonora Giovagnoli, Kevin Maiolatesi
IIS Volterra-Elia Ancona

 

Il miracolo dell’arte: il contemporaneo tra i Piceni #3

7 Nov

Si conclude oggi il nostro viaggio tra le opere di arte contemporanea ospitate a Palazzo Ferretti, con “Tors” di Bledian Ibrahimllari, prima classificata al Premio Mannucci di quest’anno.

Bledian Ibrahimllari Tors, 2013 Gesso Cm 45 x 35 x 50 Accademia Belle Arti, Tirana

Bledian Ibrahimllari
Tors, 2013
Gesso
Cm 45 x 35 x 50
Accademia Belle Arti, Tirana

Più ‘tradizionale’ nel soggetto rispetto all’opera della Charitonidi vista la settimana scorsa è “Tors” di Bledian Ibrahimllari, che in termini fortemente sintetici ed astratti descrive un torso maschile esaltandone la muscolatura e la potenza virile.

Opera enigmatica dal forte impatto visivo, anch’essa è in sintonia con i reperti esposti nelle teche in particolare con la decorazione in bronzo di un coperchio con danza di arcieri e opliti attorno ad un totem sormontato da quattro teste di animale, ritrovato nella necropoli orientalizzante di Pitino di San Severino, risalente al VII sec.

Di difficile interpretazione, i quattro personaggi maschili seminudi con elmo e scudo che si muovono intorno al totem potrebbero essere interpretati o come i protagonisti di una danza propiziatoria in onore del defunto oppure, con un riferimento alla Grecia (con la quale gli scambi divennero sempre più assidui), come degli atleti olimpionici.

Un altro reperto in relazione con il ‘torso’ contemporaneo è un kardiophylax del 580 a.C. Decorato a sbalzo con un personaggio maschile che esprime accentuata virilità, posizionato al centro di una creatura mostruosa: un animale a due teste, che facendo riferimento alla mitologia greca, potrebbe rappresentare la nascita dell’eroe da una divinità ed un comune mortale.

Forse l’intento del giovane Bledian è quello di sfatare il mito della perfezione estetica e presentarci la deformazione, il caos, lo scardinamento del famoso ‘canone di Policleto’ e dunque la rottura dell’equilibrio classico per una maggiore confusione e precarietà che, oggi più che mai, rappresentano il nostro sentire comune, senza rinunciare, però, al fascino misterioso e sensuale dell’antichità.

Osservati dallo sguardo vigile e un po’ malinconico del guerriero di Numana, le due opere contemporanee sembrano trovarsi al proprio agio tra i reperti archeologici e sotto l’imponente volta del salone affrescato nel corso del Cinquecento, probabilmente da Federico Zuccari, con motivi a grottesca.

Anche qui si compie il miracolo dell’arte: sintonia perfetta tra arte antica, moderna e contemporanea. Tre linguaggi completamente diversi tra loro che avvolgono lo spettatore in un’atmosfera senza tempo.

Valentina Visconti, Università di Urbino

Il miracolo dell’arte: il contemporaneo tra i Piceni #2

31 Ott

Continua il nostro viaggio tra le opere di arte contemporanea ospitate al Palazzo Ferretti. Al terzo piano del museo sono esposte “Tors” di Bledian Ibrahimllari e “Cancellata dal vento” di Despoina Charitonidi, rispettivamente prima e seconda classificata al Premio Mannucci di quest’anno. Oggi vi parlerò di quest’ultima.

Despoina Charitonidi Cancellata dal vento, 2013 Tecnica mista: fili di canapa e cemento Cm 130 x 35 x 20 Accademia Belle Arti di Roma

Despoina Charitonidi
Cancellata dal vento, 2013
Tecnica mista: fili di canapa e cemento
Cm 130 x 35 x 20
Accademia Belle Arti di Roma

L’opera della Charitonidi, giovane artista di origini greche, è una vera e propria poesia per gli occhi: una figura femminile che sembra svanire, sgretolarsi per sempre sotto gli occhi rapiti degli osservatori. I calchi, realizzati sul corpo dell’artista, rimandano alla fragilità e all’inconsistenza della materia di cui è composto il corpo umano in relazione al tempo. Mille fili bianchi, realizzati con canapa bagnata nel cemento mischiato con polveri diversi, danno vita a questa figura fragile e commovente.

Nelle teche numerosi reperti provenienti dalle necropoli di San Severino di VII secolo. Molte sono le armi ritrovate, a riprova del fatto che i Piceni fossero dei valorosi guerrieri: spade, pugnali, kardiophylakes, schinieri, elmi ed asce.
Lo svanire della candida figura femmine contemporanea rimanda, in qualche modo al sentimento di perdita causato dall’orrore della guerra. Morte, distruzione e paura che, dall’antichità fino ad oggi, accompagnano l’esperienza atroce del conflitto armato. Sentimenti senza tempo che sembrano annientare l’uomo che combatte perdendo parte della propria anima.

Questa figura femminile dal capo chinato, nella sua inconsistenza, potrebbe simboleggiare anche la vanità della vita terrena. E proprio in questo senso si inserisce ancora meglio nel contesto espositivo del Museo. Per i Piceni, che praticavano l’inumazione dei corpi, la morte segnava solo un momento di passaggio nella vita dell’uomo in cui la sua parte spirituale (anima) si separava dal corpo; gli dei avrebbero permesso all’anima di coloro che erano stati onesti e corretti di ricongiungersi al proprio corpo nella tomba e di vivere così per sempre una nuova vita, che si immaginava molto simile a quella vissuta sulla terra. Per questo motivo le tombe sono ricche di oggetti. Non solo quelli preziosi come corone d’oro, gioielli in ambra, fibule e monili vari che, spesso avevano il compito di ostentare il rango e la ricchezza del personaggio scomparso (e dunque esaltare il prestigio della famiglia d’appartenenza), ma anche e soprattutto oggetti di vita quotidiana: ampolle per contenere i liquidi, bicchieri, grattugie, giochi e tanto altro di personale che il defunto avrebbe “ritrovato” nella nuova vita.

L’opera della Charitonidi è interpretata in termini antitetici rispetto alla fisicità plastica della scultura proprio come l’inconsistenza della nostra esistenza che dimostra l’inutilità dell’affannarsi per le cose terrene, fugaci ed illusorie che tristemente si possono cancellare ad un minimo soffio di vento proprio come questa figura che abbiamo davanti agli occhi.

Valentina Visconti, Università di Urbino

Il miracolo dell’arte: il contemporaneo tra i Piceni #1

23 Ott

Il maestoso Palazzo Ferretti, edificato nel Cinquecento da artisti della corte papale e successivamente ampliato dal Vanvitelli nel Settecento, ospita dal 1958 il Museo Archeologico Nazionale delle Marche ed espone una ricca raccolta di reperti archeologici provenienti dagli scavi effettuati da oltre un secolo nel territorio regionale. Reperti che raccontano la storia delle diverse civiltà che si sono succedute nelle Marche dal Paleolitico all’età romana. Il percorso espositivo attraversa la sezione preistorica, la sezione protostorica, dedicata alla Civiltà Picena (X – III secolo a.C.) e a quella dei Galli Senoni (IV-II secolo a.C.), considerata da sempre la maggiore attrattiva del museo, e infine la sezione romana, cui appartiene il celebre gruppo dei Bronzi dorati rinvenuti a Cartoceto di Pergola, riproposto in copia anche all’aperto, sul terrazzo più alto del palazzo.

Sembra quasi impossibile conciliare reperti così antichi e lontani nel tempo con la contemporaneità, eppure questa sfida è stata vinta alla grande dal Museo Archeologico di Ancona poiché all’interno delle sale, tra i tantissimi oggetti riposti accuratamente nelle teche illuminate si trovano tre splendide opere di arte contemporanea in perfetta sintonia con il resto della collezione archeologica.

umore permanente

Federica Tortorella
Umore permanente, 2011
Gesso e ferro
Cm 50 x 40x 30
Accademia Albertina di Belle Arti di Torino

L’opera di cui vi parlerò oggi è intitolata “Umore permanente” ed è la vincitrice della scorsa edizione  del premio internazionale di scultura Edgardo Mannucci della giovanissima artista torinese Federica Tortorella. L’opera in gesso e ferro si trova al piano nobile dell’edificio, nel maestoso salone affrescato con allegorie delle Virtù da Pellegrino Tibaldi, allievo di Michelangelo.

La scultura si presenta come un ritratto caricaturale della stessa artista che esausta degli sforzi giornalieri (e mattutini) per acconciarsi e sistemarsi i capelli, che puntualmente si trasformano in frustranti fallimenti, preferisce puntare sull’essere piuttosto che sull’apparire. Federica non vorrebbe avere uno specchio, non vorrebbe dover rincorrere a quell’allucinazione di bellezza ogni volta che deve uscire di casa. Infatti, il desiderio della perfezione estetica la porta a una totale nevrosi. Un’astuta metafora già insita nel titolo sintetizza la schiavitù a cui l’uomo contemporaneo si è piegato: l’’umore’ è quello evocato dal volto paffuto ed imbronciato in un’espressione di sbuffo ed è ‘permanente’ poiché l’ansia di apparire sempre impeccabili fa parte della nostra quotidianità e si manifesta nei bigodini dei capelli (che si riferiscono ad un’altra di permanente!).

Volutamente la scultura è affiancata a molteplici esempi di ceramica attica, provenienti dalle necropoli di Sirolo e Numana, databili al V secolo a.C. È evidente come la lavorazione della ceramica sia raffinata e punti ad una alta qualità estetica. A testimonianza di questo “nuovo gusto per il bello” ci sono numerosi vasi a figure rosse (tecnica di assoluta innovazione introdotta ad Atene nel 530 a.C., che sostituì gradualmente la più antica tecnica della ceramica a figure nere, che consente ai pittori di curare maggiormente i dettagli, di approfondire lo studio dell’anatomia umana e del corpo in movimento, creando anche l’effetto della terza dimensione) con scene di battaglie, banchetti nuziali e momenti di toletta femminile.

Il piacere per il bello, dunque, non è una prerogativa dei nostri giorni. Anche i nostri avi amavano esibire le “cose belle”, in modo anche, da ostentare la propria ricchezza. Il problema che però ci affligge oggi riguarda l’esasperazione di questa ricerca di perfezione assoluta che conduce ad una alienazione della persona. Ecco, perché la scultura della Tortorella non è strutturata in equilibri classici (come i vasi in esposizione) ma è totalmente sbilanciata al fine di esprimere lo squilibrio interiore attraverso lo squilibrio delle masse. Opera estremamente espressiva e coinvolgente dove chiunque può riconoscersi, anche con una certa (e familiare) empatia.

Se poi si alza lo sguardo al cielo, gli affreschi del Tibaldi rimandano ad un altro tipo di bellezza: la ricerca di perfezione dei corpi maschili, virili e possenti che si basano sugli studi anatomici michelangioleschi della Cappella Sistina. All’interno di questo piano del museo, dunque, si compie un miracolo che solo l’arte riesce a fare e cioè di far dialogare in perfetta sintonia linguaggi così lontani tra loro accomunati dal potere senza tempo della bellezza.

Valentina Visconti, Università di Urbino

Ori, argenti e avori

23 Mar

Ori, argenti e avori è stata una mostra che si è tenuta nel museo in occasione della settimana della cultura del 2010 e, successivamente, è divenuta parte integrante di esso, andando a costituire la prima sala della sezione ellenistica. Questa mostra presenta al pubblico i corredi più interessanti rinvenuti nelle necropoli ellenistico-romane di Ancona (fine IV- fine I sec. a.C.).

Ori, argenti e avori

GLI ORI

Gli oggetti in oro sono assai diffusi nei corredi esposti al Museo.
Gioielli in oro molto preziosi sono gli orecchini rinvenuti nella tomba LI, del primo quarto del I secolo a.C.
In particolare questi orecchini sono a disco, ornati da un fiore in lamina, con un grande pendente centrale affiancato da due coppie di pendagli esterni a catenella.

orecchini

Un altro importante oggetto in oro è una corona funeraria, rinvenuta nella tomba 8, della fine del III –inizi II sec a.C.
In particolare, la corona presenta un supporto a nastro liscio e foglie romboidali in lamina, convergenti verso il fiore centrale.

corona

GLI ARGENTI

Tutti  gli argenti presenti nella mostra appartengono all’età ellenistico – repubblicana. La maggior parte di essi sono stati rinvenuti all’interno di corredi funebri appartenenti a persone di un alto ceto sociale. Era usanza di quest’ultime farsi seppellire con i propri oggetti pregiati, per ostentare la propria ricchezza e prestigio sociale. La preziosità degli argenti non è data solo dalla lavorazione, pure pregevole, ma anche dal valore venale del metallo in sè. L’argento, in passato, era infatti un metallo molto prezioso, comparabile all’oro, questo perché le miniere che lo fornivano erano ben poche. A quel tempo una miniera produttiva fu quella del Laurio, in Attica, che Atene sfruttava sin da tempi remoti.

skyphos argento

GLI AVORI: LETTI FUNERARI A DOPPIA SPALLIERA.

I letti funerari venivano costruiti appositamente per la deposizione nella tomba. I letti di pregiata fattura potevano essere decorati in osso, avorio o metallo. L’uso del letto funerario incominciò dopo la conquista dell’oriente greco; i conservatori erano contrari alla diffusione di questo strumento di affermazione della “luxuria” orientale. Invece la pratica dei letti si diffuse molto velocemente tra i nobili, che la utilizzarono come ostentazione della propria ricchezza. I letti del Museo risalgono alla prima meta del I secolo a.C.

Parsa Khameneh, Itis Volterra Elia

Augusto pontefice massimo

12 Mar

Da oggi inizia il racconto dei cimeli del museo, attraverso le parole degli stagisti che lo stanno animando in questi giorni.  Si parte dalla testa di Augusto velato capite, che abbiamo scelto come avatar di questo blog.

Foro romano di Ancona

Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, fu il primo imperatore di Roma, nipote e figlio adottivo dell’assassinato Giulio Cesare. La testa di Augusto, in marmo bianco alta 38 cm è conservata nella sezione ellenistico – romana del museo; venne alla luce nel 1863 durante uno scavo effettuato al di sotto del palazzo Ferretti a 9 m di profondità. La testa riproduce il modello statuario dell’Augusto velato capite, che rappresenta l’imperatore nella sua veste di Pontifex maximus con la testa coperta da un lembo della toga. Questa carica gli dava il potere di ufficiare i sacrifici in nome di Giove e, quindi, oltre alla supremazia politica, gli conferiva anche quella religiosa.

augustoL’influenza del mondo greco è ben visibile nel volto di Augusto che è privo di ogni sorta di sentimento e presenta uno sguardo perso nel vuoto (accentuato anche dalla mancanza di pupille, elemento che sarà aggiunto solamente nel 2° secolo d.C.): questi elementi elevano la spiritualità della figura considerata al di sopra degli uomini e ricercano armonia ed equilibrio nelle forme; la presenza di forze interiori avrebbero portato ad uno scompaginamento della figura. Si pensa che la testa di Augusto sia stata realizzata in una bottega romana e poi inviata ad Ancona, in quanto era consuetudine dell’ epoca inviare l’immagine dell’imperatore nelle provincie come simbolica presenza della massima autorità romana durante gli eventi più importanti.

La statua fu realizzata certamente dopo il 12 a.C., anno in cui Augusto fu per la prima volta investito della carica di Pontifex maximus. Tuttavia alcuni caratteri del volto, che rappresentano l’imperatore in età matura, segnato da rughe naso-labiali piuttosto evidenti e con le guance un po’ incavate, orientano la datazione verso la fine del suo principato (14 d.C.).

Gianluca Mengarelli, Itis Volterra Elia